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Nè veleggiando alle medesme arene
Te discovri, che volta eri alla sponda,
A cui romoreggiando Euripo viene;
Laonde, se della Calcidic’onda
Il fragoroso mareggiar ti nuoce,
Corri nell’ocean, che Sunio inonda; 7
Ed ora a Chio ti volgi, ora veloce
Fai di Partenia all’isola ritorno,
Che allora non avea di Samo voce, 8
E del vicino Anceo trovi il soggiorno;
Ma poichè Febo nel tuo grembo nacque
Nome di Chiara ti suonò d’intorno. 9
Che i piè fermando dell’Egèo nell’acque
Più non errasti oscuramente dove
A fortuna di mare e ai venti piacque;
Nè te minaccia di Giunon commove,
Che sempre pone a sua vendetta segno
Le genitrici dei figli di Giove;
E più profondamente in cor di sdegno
Struggesi per colei, che in tal s’incinge
Onde sarà d’amor Marte men degno.
Dalle porte del cielo il viso pinge,
E alla dolente ogni terren difende,
Siccome l’ostinato odio la stringe.
A stanza della Dea Marte là scende
Dove l’altre montagne Emo soggioga 10
La terra a discovrir quanto si stende;
In questo mezzo i corridori alloga
Nella spelonca, onde Aquilon mugghiante
Per settemplice porta si disfoga;
D’altra parte la figlia di Taumante
Tutti dell’ampio sal gli azzurri campi
Riguardando sedea sopra Mimante,11
E ad ogni arena che Latona stampi
Significando in minaccevol fronte,
Che nulla in sè la peregrina accampi.