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Non era meno la voglia bibace,
Gran copia vini con vivande agogna,
Soggiace a Bacco chi a Cere soggiace.
I miseri parenti per vergogna
Lo dividean da publico convito,
Ed era buona scusa ogni menzogna.
Se a festi dì gli fean li Ormeni invito,
La madre rispondea: jeri a Cranone
Il prezzo a tor di cento bovi è ito.
Se le nozze venìa di Attorione
Polisso a nunciar chiamando insieme
Con Triope a convito Erisittone,
Ed ella in suon di chi gran doglia preme:
Or volge il nono dì, plorando sclama,
Che il figlio da un cinghial piagato geme.
O madre, per celar la vera fama,
Quante volte portasti il volto rosso!
Se alcuno a nozze il tuo figliuolo chiama,
Misero! inferma, un disco l’ha percosso,
Ito è sull’Otri a numerar la greggia,
Di sella un fero corridor l’ha scosso.
Ed egli notte e dì mense vagheggia
Chiuso nei penetrali, e tutti ingolla
Gli ampi tesor della paterna reggia;
Fame dal manicare in lui rampolla,
E quanto insacca più tanto più vole;
Lo costui ventre e il mar non si satolla.
Imagine di cera a rai di Sole
Tal si dilegua, o gel sovra pendice,
La pelle e l’ossa lo informavan sole.
La madre, le sirocchie, la nudrice
Struggonsi in pianto, e ne’ canuti sui
Ambe mette le man Triope e dice:
O falso padre, o vano autor di nui,
Vedi, Nettuno, il tuo terzo rampollo,
Se nato di Canace e di te fui.