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Caterina Bon-Brenzoni. 167


«Crediamo che non spiacerebbe allo sdegnoso Allighieri quel racconto de’ suoi amori, fatto ad ora ad ora con le stesse parole della Vita Nuova, ridotte, come e’ direbbe, a testura musaica, se già è possibile essere più poetico o non esser meno che quella prosa stupenda, uscita dalla segreta camera del suo cuore e tutta umida di quelle lagrime che egli a certi pietosi istanti del suo amore versava. Anzi, gli parrebbe che tra coloro, i quali, senza che egli se ne accorgesse, lo stavano mirando mentre pingeva quell’angiolo, un austero sembiante di donna si piegasse per lui a pietà, e cercasse anch’ella dal canto suo a descriverlo in rima.»

Erasi proposta una serie di canti da illustratele grandezze e gli eroismi della donna. Pensava a scrivere Isabella e Colombo, Giuseppina Buonaparte, Le suore di carità, ecc. Non s’è visto che la sua Elisabetta d’Ungheria, pubblicata postuma, perchè già pronta alla stampa. Dell’altre cose inedite ella prescrisse che non si mandasse fuori più nulla.

Allo scorcio di settembre del 1856 la riprese il male che l’aveva assalita nel 1842, e il 1° ottobre la trasse alla sua acerba fine. — Il Messedaglia la descrive così:

«Quando il sacerdote cominciò a recitare le ultime preci, ella lo invitò a dirle più piano perchè intendeva ripeterle seco stessa e rispondervi. Come s’avvide del cero acceso «A me, disse, quel cero; è il simbolo della fede.» Fuvvi un istante di silenzio.... Volgendosi al sacerdote e movendo a stento la parola: «E quanta manca?» richiese serena, e come se il tardar le pesasse. La voce le venne meno a poco a poco; ma ancora era in sè, e accennava, e coll’atto delle mani e degli occhi pareva salutasse. Poveretta! fra le più