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Della produzione poetica, in latino e in italiano, di Tommaso Campanella è giunta fino a noi soltanto una piccola parte; quantunque non sia da escludere la possibilitá di nuove scoperte. Nel disegno di un’edizione completa de’ propri scritti in dieci volumi, fermato dall’autore a Parigi nel 1637, ma potuto eseguire soltanto parzialmente, un intero volume egli aveva destinato a raccogliere le poesie, insieme con un’Ars versificcitoria de metro latino applicando vulgari linguae, da lui scritta a Roma fin dal 1595; e nell’ultimo volume della raccolta, miscellaneo, pensava pure di raccogliere Opuscula Latino et Italico idiomate, metro et prosa1. E non sarebbe stata tuttavia se non una scelta. Poiché non vi è compreso quella tragedia La regina di Scozia, che egli in tutti i cataloghi delle sue opere rammenta di avere scritto, nel 1598 in Calabria, per Ispagna contro Inghilterra2; né il poemetto latino De philosophia Empedoclis, scritto fin dal 1591-92, e rifatto nel ’93. Ora tutti i manoscritti, che egli potè lasciare a Parigi nel convento dei Giacobini, che lo ospitò negli ultimi anni della sua vita, sono andati distrutti nell’incendio di quel famoso edificio a tempo della Rivoluzione. Ma il poemetto empedocleo e l’altro pur giovanile Philosophia Pythagorica carmine Lucretiano instaurata, rubatigli a Bologna sulla fine del ’92 e mandati a Roma al Sant’Offizio, e da lui quivi ritrovati insieme con altre sue opere filosofiche nel corso del processo che presso quel tribunale gli fu iniziato sulla