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Pietro nei primissimi giorni dell’agosto 1601, quando la notte del 2, a causa di una clamorosa rissa avvenuta il giorno tra prigionieri, operatasi una perquisizione straordinaria nella sua cella, fu trovato mal nascosto in un canestro di vimini e sequestrato1.
E per allora e per quasi tre secoli ancora quella copia manoscritta unica di poesie campanelliane giacque seppellita ed assolutamente ignorata nella congerie degli atti processuali.
II
Pel momento, dunque, l’episodio Gentile non ebbe un effetto tangibile sulle sorti della fama letteraria del Campanella piú di quanto non ne avesse avuto sulle sue sorti di misero mortale. Perché si ravvivassero le sue speranze, e con piú fondamento, bisognò aspettare quasi due anni. Si arriva cosí al periodo immediatamente posteriore alla condanna del S. Uffizio. Aveva perduto il caro ed entusiasta fra Pietro Ponzio, assolto da questo tribunale e rilasciato subito dopo anche da quello laico, e gli rimaneva la compagnia di un altro coimputato, fra Pietro da Stilo, anima semplice ed affettuosa, molto legato a lui, ma che non doveva interessarsi gran che di poesia2, e di un Felice Gagliardo, che invece di poesia si piccava, come ebbe a dire con sprezzante ironia fra Pietro Ponzio in una deposizione contro di lui dopo la famosa rissa, che fu causa della scoperta delle poesie nel canestro; ma allo stesso modo come si piccava di negromanzia, d’intrighi politici ed amorosi e, occorrendo, di ladroneccio3.
Ma sul finire del febbraio venne a rompere la monotonia della sua triste esistenza un giovane straniero cascato in quel carcere napoletano per un caso romanzesco. In quei giorni il conte Giovanni di Nassau si era recato per diporto a Napoli con alcuni amici italiani e stranieri, tra i quali un giovane tedesco, Cristofaro Pflug, che dimorava in Italia probabilmente per ragioni di studio, e che apparteneva forse ad un ramo della famiglia dei Fugger, i rinomati banchieri di Augusta, certo era in stretti rapporti con