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552 XXIII. CANTO NOTTURNO


90Così meco ragiono; e della stanza
Smisurata e superba,
E dell’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adòprar, di tanti moti
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
95Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
100Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri.
Che dell’esser mio frate,
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; a me la vita è male.

105     O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai
Quanta invidia ti porto
Non sol perchè d’affanno
Quasi libera vai
110Ch’ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
Tu se’ queta e contenta
115E gran parte dell’anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
E un fastidio m’ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
90sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,