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Pagina:Canti (Sole).pdf/406

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luigi la vista 349

trarca furono testimoni e compagni de’ suoi ultimi anni. Noi l’udimmo ragionar di costoro, con tanta copia di nobili ed alti e peregrini concetti, che pareva uscito allora dalla conversazione di un grande uomo, il cui parlare avesse sublimato e nobilitato il suo animo; ed il suo giudizio era accompagnato da tanta ammirazione ed affetto, che sembrava favellasse di amici, con cui fosse stato in dimestico e lungo consorzio.»1 In queste ultime parole del Maestro ci par di sentire il Lessing, quando dimostrava che, a intendere i grandi autori, la maniera più efficace era di trattarli e amarli come amici. E il nostro giovine, che pure fino a diciannove anni era stato chiuso in un povero seminario, aveva per propria virtù inteso e praticava quella maniera per l’appunto, con cui il sommo Tedesco rinnovò tutta la critica.

Non meno grande fu in lui quel sentimento della natura, così raro anche nei nostri scrittori sommi, specie nei meridionali: egli seppe ammirare il mondo esterno in tutti i suoi vari aspetti, nell’ameno e nell’orrido, su’ monti e su’ mari. «Eccomi (egli scrive) su questa landa della Puglia, in cui l’orizzonte pare che si allarghi; landa deserta, monotona, malinconica. I paesaggi pittoreschi qui sono rari, ma bellissimi. Varietà di campagne; verdura di boschi, di ulivi o di viti; tutto questo cessa all’uscire della nostra pro-

  1. Memorie cit., p. xlv.