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La signora Teresa credette si trattasse d’uno dei soliti favori ch’ella faceva qualche volta, su pegni, alle amiche più fidate — prima in nome del commendatore, ed ora, dopo che il commendatore, per evitare un processo, era scappato in America, in nome di una persona che voleva rimanere sconosciuta. Vedendola perder in chiacchiere inutili, ella s’era messa a ridere:

— È una cosa così grave che non ti riesce di spiegarti?

— Oh, gravissima!

— Insomma?... Più di un migliaio di lire?

La signora Villa rise, alla sua volta; ma si ricompose subito:

— No; si tratta di ben altro!... D’una cosa delicata, d’un dovere d’amicizia. Ci ho pensato un’intiera settimana, senza sapermi risolvere. Non mi riesce neppur ora di trovare la via!

La Marulli stava muta:

— Quelle moine di gattina la mettevano in sospetto. Dove andavano a parare?

E la signora Villa riprendeva:

— Una cosa, certamente, da non credersi; un’infamità, non c’è dubbio! Lo abbiamo detto la sera scorsa colla Giulia Maiocchi, in teatro. Ma che importa? L’amicizia ha i suoi doveri; non voglio mancarvi. Però non è facile.

— La signora Maiocchi — annunciò la cameriera.

— Oh, giusto lei!

La Maiocchi entrava frettolosamente, facendo frusciare pel salottino l’abito di seta e le sottane inamidate:

— Mi fermo due soli minuti; non voglio nemmeno sedermi... Dimmi, Teresa: quel fisciù lo comprasti