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— Ne riparleremo — conchiuse la signora Villa. — Cara mia, sono stufa!
Andrea s’era alzato per salutarla al passaggio.
— Gerace, — ella gli disse, — che trista cera avete oggi!
— Ho dormito poco, ed ho una tale accapacciatura!
Però queste scuse, pronunziate con visibile impaccio, non persuasero Giacinta. Il suo cuore di donna già presentiva un pericolo.
— Che ti è accaduto? — gli domandò, appena la signora Villa fu andata via.
— Nulla! Nulla!
L’insolita vivacità della risposta la colpì.
— Hai dei segreti per me?
— Vorresti farmi una colpa anche del mal di capo?
Per alcuni minuti stettero zitti. Andrea picchiava con la punta della mazzettina sul tappeto; Giacinta, di faccia, con la fronte corrugata, si mordeva le labbra, sfilacciando nervosamente la frangia della cravatta di seta che le scendeva sul petto.
— Hai perduto la parola?
— Senti: — disse Andrea, rizzandosi bruscamente sulla vita. — Da qualche tempo, sei diventata assai strana. Mi rimproveri senza motivo; mi tratti come un amante venuto in uggia, quasi cercassi un pretesto, una scusa per romperla. Questa vita di diffidenza, di sospetti, di rancori nascosti, oh! è insopportabile! Tu pretendi l’assurdo. Non si può essere, tutti gli anni, tutti i mesi, tutti i giorni, dello stesso umore. I nervi, la stagione... che so io? Ogni anno che passa ci lascia cambiati. Si diventa più seri; si guarda la vita da un’altro punto di vista; si ama quanto prima, forse più...