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la figlia dell'orco 145

La figlia dell’Orco aperse un uscio, e il Reuccio rimase a bocca aperta vedendo una stanza tutta tempestata di oro e diamanti, con mobili di marmo, di argento, di legni preziosi. Per terra però qua e là ossa spolpate, macchiate di sangue.

— Che ossa son queste?

— Non ci badate. —

E aperse un altr’uscio. Il Reuccio rimase a bocca aperta. Pareti di lamine di argento lucide come specchi; cornici d’oro e di perle; pavimento di marmi rarissimi; e mobili fastosi, cortinaggi di stoffe non mai viste, con ricami d’oro e frange d’oro... Una magnificenza. Per terra però qua e là ossa spolpate, macchiate di sangue.

— Che ossa son queste?

— Non ci badate. —

Il Reuccio capì che erano ossa umane; tutte quelle povere creature se le era divorate l’Orco. E si sentì correre brividi da capo ai piedi, pensando che forse anche colei ne aveva mangiate la sua parte.

— E lì dentro che c’è? —

Accennava all’uscio tutto d’acciaio, con congegni complicati e due mostri di bronzo; uno a destra, l’altro a sinistra, che mettevano paura.