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28 I. L. CARAGIALE


menoma favilla che tra questa luce e l’oscurità cieca.

La pendola oscillava sulla parete. Quel rumore monotono snervò Zibal. Il nostro uomo prese il pendolo e lo fermò.

Aveva la bocca arida. Aveva sete. Lavò un bicchierino nella catinella che stava vicino al banco e volle versare da un fiasco della buona acquavite; ma il collo del fiasco cominciò a tintinnare forte sull’orlo del bicchiere... questi suoni erano molto più snervanti. La seconda prova, malgrado il suo sforzo di vincere la debolezza, non ebbe miglior successo.

Allora rinunciò al bicchiere, lasciandolo cadere lentamente nell’acqua; inghiottì qualche sorso dal fiasco. Poi rimise al suo posto il fiasco, il quale toccando la tavola produsse un rumore spaventevole. Si fermò un momento, soffocato da questa impressione. Poi prese la lampada e la mise sul davanzale della finestra che dava nell’androne; sulla porta, sul pavimento e sul muro che stava di rimpetto si segnarono alcune striscie larghe di una luce poco più intensa di un fantasma.

Zibal sedette di nuovo sulla soglia porgendo l’orecchio in agguato.