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88 I. L. CARAGIALE


E con le mani infisse nei capelli, la donna scuoteva, come per dolore, la sua bella testa. Dietro la casa si sentì — così tardi! — il segnale conosciuto; la belva, d’un salto, fu al collo della preda.

«Vieni più presto! disse lei gemendo. — Perchè mi tormenti? Che cosa vuoi? — che io muoia? Dimmi che vuoi che io muoia... Per l’anima della mia madre che sta nella tomba — che io giaccia verminosa presso le siepi finché perfino i cani fuggano da me! — che la mia carne imputridita mi cada dalle ossa! che le mie ossa si logorino fino al midollo; che gl’insetti della terra facciano il loro nido nel mio petto e nel mio teschio: dimmi se tu vuoi che io muoia... subito, qui, e io morirò!»

I suoi occhi si spalancarono, le guance e la bocca si coprirono di rughe e cadde sfinita nelle sue braccia. — Quando la donna sentì il soffio dell’uomo riacquistò la voce e cominciò a dirgli quanto ingiustamente egli si era adirato contro di lei, come era stata fanciullesca e senza ragioni la loro disputa, e quanto aveva sofferto lei della sua assenza.

Da molto tempo l’uno era nelle braccia dell’altro quando si sentì scricchiolare il cancello; arrivava il pope a cavallo... Tutti e due rimasero immobili.