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46 | Saggio di Rime |
XV.
A piè d’ un colle ov’ è un castello forte
Punto da que pensieri acuti e duri,
Che fanno i giorni miei lunghi ed oscuri,
Amor mi guida, e la mia cruda sorte:
Movo più volte il dì sino alle porte,
Come i lassi occhi miei fusser securi
Di riveder colei, che asciutti e puri
Gli tenne un tempo, or gli conduce a morte:
Ma quando presso al fin conoson chiaro
Che ’l lor sperar fu debile e fallace,
Perchè troppo è lontan quel ch’ io vorrei,
Non trovo a miei martir tregua nè pace,
Ma si risolve il duolo in pianto amaro,
Tal che ognor son due fonti gli occhi miei.
XVI.
L’ antica stanza che amai già cotanto
Or fuggo a più poter e m’ allontano,
Che ben vegg’ io che m’ affatico in vano
Trovar quaggiù quel volto unico e santo.
Morte crudel, or sì puoi darti il vanto
Ch’ ai tolto al mondo il più bel viso umano
Che amor formassa di sua propria mano,
E d’ aver posto di la vide in bando.
Ma lasso ahimè che ’l tempo agli altrui guai
Darà fin, come suol, porgendo altri ami,
Ma non già a miei che più d’ ognun l’ amai:
Non so nè posso o voglio i bei legami
Scioglier, sì destro dentro m’ annodai,
Sin ch’ oda lei che a se dal Ciel mi chiami.