Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/123

Da Wikisource.

non fare anfibologia; e volendo che nieghi, bisogna che quel che s’intende di negare, sottentri nel loco del negato davanti, e che la parola che si ripone, sia della medesima forma con quella che si lieva: altramente non entra nel loco del negato, e cosi non si può valere della sua negazione; come aviene alla vostra «o», la quale avete veduto che non è cosi maneggiata, e però, stando quasi infra due, non si risolve a dir né di si né di no. O non vi meravigliate adunque, se n’è seguito contrario effetto di quello che voi volevate, e se, comandando che non si mostrino, sono state mandate a torno, perché tutti le veggano. Questo è il vostro modo di dire, che non s’intende pur dai vostri corrispondenti? Ma il fatto sta che v’intendiate da voi medesimo; ché, se pur v’intendete, io penso che facciate come papa Scimio, il quale, dicendo «risuscitare», intende «morire», e, dicendo «angeli», intende «diavoli»; e in questo modo vi potete voi salvare d’aver nominata «Flora» per «ninfa», dovendola nominar «dea», e d’aver detto «traslazione», dovendo dire «similitudine», in quel loco «Bisognava aiutare», ecc.; non parlando propiamente voi, dove tassate lui d’impropietá; percioché dovereste sapere che la traslazione, dove intervien «quasi» o «come», si chiama «similitudine», e non piú «traslazione», perché la parola, che prima era metafora, sta nel suo propio. Ma voi vi portate in questo, meglio che papa Scimio, perché esso scambia i contrari, e voi scambiate quelli che si sono stretti parenti: di che io non vi riprenderei, se voi non discordaste in ciò da voi stesso, perché fate professione di dar le parti proprie a ciascuna parola, ed a queste le togliete: commettete questo peccato, dove riprendete altri che l’abbia commesso, e accusate l’improprietá dove non è, e nella poesia, dove se fosse talvolta, sarebbe vertu; e vi cadete nella grammatica e nella sofisteria, dove si può sempre imputar per vizio. Or vedete, in quanto poco di mostra di questa vostra prima censura, quanta mondiglia e quante tristiziuole si son trovate. Di qui si può veder per rata, quante se ne caverebbeno della Replica e degli altri lunghi cicalamenti che avete fatti contra al commento di questa canzone. Ma io mi contento che se ne faccia una stima cosi alla grossa; perché, s’io