Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/140

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tutti i piú valentuomini del mondo fossero stati ignoranti, perché tutti son pieni di quelli che, secondo voi, son errori. E vorrei che voi mi diceste in conscienza vostra qual di queste due cose dovemo piú tosto credere: o che Omero, Vergilio, Orazio, Aristotile, Marco Tullio, Demetrio, Quintiliano e gli altri autori e precettori buoni, cosi dell’altre lingue come di questa, incomparazion del Castelvetro, siano cavalli, buoi, bufali, somari, castroni e pecore tutti; o che il Castelvetro, a comparazion loro, sia un mostro di tutte queste bestie insieme. E cosi de’ costumi, quel che s’ha piú tosto da pensare: o che la vanitá, la malignitá, la mordacitá, l’invidia, la bugia, la sfaccitudine, non siano vizi; o che voi, ch’avete tutte queste cose insieme, non siate virtuoso. Il dover, secondo me, vorrebbe che il buono e ’l bello in universale fosse quello che è giá stabilito da tutti che sia, e che i dotti e i buoni s’intendano quelli che per tali sono avuti o da tutti o dalla piú parte, o dai piú o dai migliori; e se questo è, io mi contento di quel che in tutti questi modi si giudica che siate voi e che siano i sopranominati valentuomini. E se per questa via l’intendete ancora voi, dicendo e facendo altramente, non siete presuntuoso e maligno per elezione? E dicendolo e facendolo in conformitá di quel che sentite, non siete matto per natura? In questo modo ultimo credo io che sia veramente, perché veggo che le vostre imaginazioni non sono come quelle degli altri uomini ordinari ; veggo che i libri non parlano a voi come agli altri, e che non avete, come gli altri, il vero per vero e le virtú per virtú. Percioché, se ciò non fosse, non fareste tanto apertamente professione del falso e del vizio, come voi fate: del falso, vedendosi apertamente che volete essere conosciuto per sofista, e, per parere un nuovo Gorgia, v’offerite voi stesso di ridirvi sopra questa canzone e di mostrar il contrario di quel ch’avete detto; di che segue di necessitá che o veramente areste detto il falso prima, o che lo direste poi: del vizio, perché si vede che vi compiacete dei difetti e dell’infamie vostre, godete di dir mal di tutti, non vi curate che se ne dica di voi, vi ridete delle risa che si fanno le genti de’ fatti vostri, vi nominate da voi medesimo per «grammaticuccio»; e quel che