Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/151

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d’esser bel giovine: di che la gente avedendosi, per incitarlo, tutti di conserto intonarono:

Lasso, non di diamante, ma di vetro, veggio di man cadérmi ogni speranza.

Prese il barbaianni quel tuono, ed acconciatosi in su la gorga, parve che s’apparecchiasse a farvi qualche bel contrapunto; ma, fermatosi in sulle prime note, molte volte, con molte risa di tutti, vi si provò, ed altro mai non espresse che il suo «cu cu». Mentre che cosi ridendo e motteggiando si stava, il giovine, che con le donzelle dal prato se ne saliva dall’opposita parte, come sole che dall’orizzonte uscisse, spuntò sul colle; e, tutto di nuova luce spargendolo, con alcuni suoi raggi feri nello specchio, e col riverbero d’esso negli occhi del gufo, per modo che, abbagliato e cieco del tutto, non si potè piú rimirare. E per questo, non finito ancor di presumer di sé, ma si ben d’uccellar altri, le serve e i valletti medesimi lo presero; e, messogli un collo di zucca in capo per cappelletto, lo condussero in una delle cime del colle, e quivi piantatogli per gruccia una gran trivella, coi medesimi geti ve lo legarono. Quel che poi ne seguisse, non vi so dire, perché gli uccelli, che gli andarono a torno, fecero si grande schiamazzo che mi destarono.

Ora io vorrei saper da voi quel che questo sogno vuole importare: secondo il capo vostro però, perché secondo jl mio l’intendo assai bene; ma voi non l’avete come gli altri, e però son certo che altri sensi vi troverete, e molto piú riconditi di me. Saria bene che non ne foste cosi tiranno come di quelli del Petrarca. E s’io vi paressi degno in questo caso che voi mi somigliaste, in far questo sogno, a Scipione, io direi che non ci fosse altro Macrobio che voi per interpretarlo; perché, quanto ai sogni, non si può trovar persona piú valente di voi. E vostro sono.