Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/258

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Procuratore. Sorte a punto. Mi sono abbattuto che questo tristo di Marabeo con un altro la strascinava per forza, per tramandarla e darla, come ho ritratto da lei, in mano del cavavalier Giordano.

Demetrio. Del cavalier Giordano? Guarda scambiamenti di mogli che erano questi.

Giovanni. Oh Dio, che sento io di mia figliuola?

Procuratore. Basta; io l’ho liberata, l’ho depositata in questa casa. Dipoi mi sono informato da lei ; ho inteso tutti i casi suoi; ho trovato eh’è vostra figliuola; ho preso la difensione della sua libertá; e farò che questi ribaldi siano castigati.

Battista. O signor procuratore, noi saremo felici per le vostre mani, e voi sarete ricco per le nostre.

Giovanni. O figliuola mia! Signore, è forza ch’io vada a vederla.

Procuratore. Andatevi, ch’io me n’andrò dal governatore.

Demetrio. Ed io me ne verrò con Vostra Signoria per quel che potesse bisognar l’opera mia.

Procuratore. Sará ben fatto.

SCENA IV

Demetrio, Procuratore, Giordano.

Demetrio. Signor procuratore, questo è il cavalier Giordano che poco fa vòlse amazzar messer Gisippo e me: se viene alla volta mia, siatemi testimonio ch’io fo la mia difesa.

Procuratore. Come «amazzare», e perché?

Demetrio. Questo Gisippo e quel Tindaro, che avete inteso, son tutto uno: la fortuna ha tramato un giuoco di loro e delle loro mogli, che ci ha condotto a questo. Ma l’intenderete a bell’agio. Ora gli voglio aver l’occhio alle mani.

Giordano. La rabbia si mi divora fin che non mi sfógo nel suo sangue: ecco qua quel suo compagno. Caccia mano.

Procuratore. Che farete, cavaliero?

Giordano. Tiratevi da parte, voi.