Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/316

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fatto, come elle piú non li fuggono, ed essi piú non le seguono; ma che, quasi comunemente godendosi dell’avuto piacere, se ne vanno insiememente pascendo? Di certo, secondo che si vede, quella debbe essere una dolce cosa, poiché la smorza quell’amaro che turba la dolcezza d’amore. — Si — rispostila; — ma le capre, le pecore, i becchi ed i montoni lo fanno tutti ritti, e tu vuoi eh’ io mi corichi e che mi spogli ignuda, dove essi hanno sempre le lor vesti addosso, e sono villosi e lanosi piú che non siamo noi? — Ma Dafni per si fatta maniera la persuase, ch’ella vi s’acconciò pure: e, spogliatisi e coricatisi insieme, si giacquero avvinchiati per buono spazio, baciucchiandosi, aggavignandosi e voltolandosi pure assai; e dopo molto affanno, non venendo lor fatto quel che cercavano, trafelando e sospirando si disciolsero. Né guari stettero che, vedendo Dafni un montone, che una sua pecorella amoreggiava: — Guarda — disse alla Cloe — che ’l tuo martino fará quello che non possiam far noi : pon’ cura tu di secondare a tutti gli atti della pecora, ed io contraffarò quelli del martino. — E, recatisi ambedue carpone, secondo che vedevano le bestiuole appressarsi, accarezzarsi e strofinarsi tra loro, cosi ancor essi s’appressavano, s’accarezzavano e si strofinavano, quasi temendo qual si fosse di quei punti, che indietro lasciassero, impedisse loro il compimento di tanto misterio. Rizzandosi dunque il montone con le zampe dinanzi sopra la groppa della pecora, il buon Dafni si levava suso con le mani, e si serrava cotale alla svenevole su la schiena alla Cloe; e quando la bestia alzava uno zampino, egli ritirava una gamba; quando scontorceva il niffolo, egli stralunava gli occhi; quando fiutava, egli annasava; quando colpeggiava, egli batteva tutti i suoi colpi: ma dove il suo maestro colpiva sempre, egli non seppe mai dare nel bersaglio. Laonde piú confuso e piú disperato che ancora fosse stato, toltosi dall’impresa ed a seder postosi, cominciò dolorosamente a piangere e rammaricarsi, «oisé ! gramo sé!» dicendo, ch’era nell’opere d’amore via piú scipito e piú balordo ch’un pecorone. Ora udite quel che avvenne. Avea Dafni per vicino un certo contadino chiamato Cromi, un uomo attempato ed assai benestante, percioché gli era lavoratore d’un suo poder