Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/60

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accompagnare o mitigare il nome d’ «idolo», per farlo sonar bene,, ma per dire che quello idolo suo sia Laura? Non v’accorgete che descrive il nome di lei, e non la qualitá dell’idolo? Non considerate che, poeticamente parlando, l’adorazione degl’idoli non vuol dir altro, in questi casi, che avere in venerazione le cose mortali, come se dii fossero, e non che per dii veramente si tengano? Ma l’inganno vostro consiste in questo: che pigliate la negazione e l’affirmazione per male e per bene, e scambiate qui un’altra volta la poesia con la teologia. Sopra di che non voglio dir altro; perché mi basta che, quanto a questo loco, vi si rovesci adosso tutta quella vanitá che cosi vanamente avete raunata, per far parer vano altrui. Voi recatevi la barba al petto; e andate pensando se questi che voi domandate artifizi, questi misterii che da voi solo sono intesi, fossero per aventura come le prelature del Tuberá, o come quella bella gentildonna, con chi quell’amico faceva all’amore, che, quando se n’accorse alla fine, era una gatta.

Castelvetro — Opposizion IV

«Del tuo nome dipinti». Io so che l’alloro consecrato a Febo non è offeso dal sole, o piuttosto dal gielo; ma non so giá che albero o erba porti il nome dipinto del sole, come porta quel d’Aiace e di Giacinto; i quali nomi non defendono la predetta erba dal sole: per che questa mi pare una vanitá.

Predella.

Il vano e lo sciempio siete voi, ch’avendo si cattivi occhi come avete, gli volete affisar nel sol propio, per non veder quello di che si dice, il qual non è propio. Credete voi, povero lippo, che questo sol del Caro sia quello con che si asciuga il bucato? o quello che secca l’erbe, o che difende gli allori dal gielo, come voi dite? Non v’accorgete che intende di quel Febo