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Pagina:Castiglione - Il libro del Cortegiano.djvu/122

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106 il cortegiano


ha da conversare, presupponendo che egli sia di buon giudicio, e con quello si governi, e secondo i tempi talor intenda nelle cose gravi, talor nelle feste e giochi. — E che giochi? disse il signor Gasparo. Rispose allor messer Federico ridendo: Dimandiamone consiglio a fra Serafino, che ogni dì ne trova de’ nuovi. — Senza motteggiare, replicò il signor Gasparo, parvi che sia vizio nel Cortegiano il giocare alle carte ed ai dadi? — A me no, disse messer Federico, eccetto a cui nol facesse troppo assiduamente e per quello lasciasse l’altre cose dì maggior importanza, o veramente non peraltro che per vincer danari, ed ingannasse il compagno, e perdendo mostrasse dolore e dispiacere tanto grande, che fosse argomento d’avarizia. — Rispose il signor Gasparo: E che dite del gioco de’scacchi?— Quello certo è gentile intertenimento ed ingegnoso, disse messer Federico, ma parmi che un sol difetto vi si trovi; e questo è, che si può saperne troppo, di modo che a cui vuol esser eccellente nel gioco de’scacchi credo bisogni consumarvi molto tempo, e mettervi tanto studio, quanto se volesse imparar qualche nobil scienza; o far qualsivoglia altra cosa ben d’importanza; e pur in ultimo con tanta fatica non sa altro che un gioco: però in questo penso che intervenga una cosa rarissima, cioè che la mediocrità sia più laudevole che la eccellenza. — Rispose il signor Gasparo: Molti Spagnoli trovansi eccellenti in questo ed in molti altri giochi, i quali però non vi mettono molto studio, nè ancor lascian di far l’altre cose. — Credete, rispose messer Federico, che gran studio vi mettano, benchè dissimulatamente, Ma quegli altri giochi che voi dite, oltre agli scacchi; forse sono come molti ch’io ne ho veduti far pur di poco momento, i quali non serveno se non a far maravigliare il valgo; però a me non pare che meritino altra laude nè altro premio, che quello che diede Alessandro Magno a colui, che, stando assai lontano, così ben infilzava i ceci in un ago20.

XXXII. Ma perchè par che la fortuna, come in altre cose, così ancor abbia grandissima forza nelle opinioni degli uomini, vedesi talor che un gentiluomo, per ben condizionato che egli sia e dotato di molte grazie, sarà poco grato ad un signore, e, come si dice, non gli arà sangue; e questo