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206 il cortegiano


fanno più stima che della vita propria; e se volete dir il vero, ognun di noi ha veduto giovani nobilissimi, discreti, savii, valenti e belli, aver dispensato molt’anni amando, senza lasciare adrieto cosa alcuna di sollecitudine, di doni; di preghi, di lacrime, in somma di ciò che imaginar si può; e tutto in vano. E se a me non si potesse dire, che le qualità mie non meritarono mai ch’io fossi amato, allegherei il testimonio di me stesso, che più d’una volta per la immutabile e troppo severa onestà d’una donna fui vicino alla morte. — Rispose il signor Gasparo: Non vi maravigliate di questo: perchè le donne che son pregate sempre negano di compiacer chi le prega; e quelle che non son pregate, pregano altrui.

XLII. Disse messer Cesare: Io non ho mai conosciuti questi, che siano dalle donne pregati; ma sì ben molti, li quali, vedendosi aver in vano tentato e speso il tempo scioccamente, ricorrono a questa nobil vendetta, e dicono aver avuto abondanza di quello che solamente s’hanno imaginato; e par loro che il dir male e trovar invenzioni, acciò che di qualche nobil donna per lo volgo si levino fabule vituperose, sia una sorte di cortegiania. Ma questi tali, che di qualche donna di prezzo villanamente si danno vanto, o vero o falso, meritano castigo e supplicio gravissimo; e se talor loro vien dato, non si può dir quanto siano da laudar quelli che tale officio fanno. Chè se dicon bugie, qual scelerità può esser maggiore, che privar con inganno una valorosa donna di quello che essa più che la vita estima?e non per altra causa, che per quella che la devria fare d’infinite laudi celebrata? Se ancora dicon vero, qual pena poria bastare a chi è così perfido, che renda tanta ingratitudine per premio ad una donna, la qual, vinta dalle false lusinghe, dalle lacrime finte, dai preghi continui, dai lamenti, dalle arti, insidie e perjurii, s’ha lasciato indurre ad amar troppo; poi, senza riservo, s’è data incautamente in preda a così maligno spirto? Ma, per rispondervi ancor a, questa inaudita continenza d’Alessandro e di Scipione, che avete allegata, dico ch’io non voglio negare che e l’uno e l’altro non facesse atto degno di molta laude; nientedimeno, acciò che non possiate dire che per raccontarvi cose antiche io vi narri fabule, voglio allegarvi