Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1912 – BEIC 1785736.djvu/392

Da Wikisource.

CAPITOLO CLXIII

De la excellenzia de la obedienzia, e de’ beni che dá a chi in veritá la piglia.

— Questo è quello vero remedio che tiene il vero obbediente; e ogni di di nuovo il tiene, augmentando la virtú de l’obbedienzia col lume della fede, desiderando scherni e villanie e che gli sieno imposti e’ grandi pesi dal prelato suo, perché la virtú de l’obbedienzia e la pazienzia sua sorella non irrugginiscano, acciò che, nel tempo che le bisognano adoperare, elle non venissero meno o desserli molta malagevolezza; e però continuamente suona lo stormento del desiderio e non lassa passare il tempo, perché n’ha fame. È una sposa sollicita, che non vuole stare oziosa. Oh obbedienzia dilectevole, oh obbedienzia piacevole, obbedienzia soave; obbedienzia illuminativa, perché hai levata la tenebre del proprio amore; obbedienzia che vivifichi, dando, ne Lamina, la vita de la grazia, che te ha electa per sposa, toltole la morte della volontá propria, che dá guerra e morte ne l’anima! Tu se’ larga, ché d’ogni creatura che ha in sé ragione ti fai subdita. Tu se’ benigna e pietosa: con benignitá e mansuetudine porti ogni grande peso, perché se’ acompagnata con la fortezza e vera pazienzia. Tu se’ coronata delia corona della perseveranzia; tu non vieni meno per la inportunitá del prelato né per grandi pesi che egli ti ponesse senza discrezione, ma col lume della fede ogni cosa porti. Tu se’ si legata con la umilitá, che neuna creatura la può trare della mano del sancto desiderio de l’anima che ti possiede.

E che diremo, dilectissima e carissima figliuola, di questa excellentissima virtú ? Diremo che ella è uno bene senza veruno male; sta nella nave, nascosta, che neuno vento contrario le può nuocere; fa navicare l’anima sopra le braccia de l’ordine e del prelato, e non sopra le sue, perché il vero obbediente non ha a rendare ragione di sé a me, ma il prelato di cui egli è stato subdito.

Inamòrati, dilectissima figliuola, di questa gloriosa virtú. Vuogli tu essere grata de’ benefizi ricevuti da me, Padre etterno?