Pagina:Caterina da Siena - Epistole, 2.djvu/199

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l99 e parenti vostri, ricordateli per desiderio della salute loro con sante orazioni, ma con altra tenerezza, no.

Voi sapete che il nostro Salvatore dice; noi doviamo renunciare al padre ed alla madre, a suore e fratelli, ed a noi medesimi, cioè alla propria nostra volontà, se noi vogliamo essere degni di lui, perocché in altro modo non potremo. "N oi avete cominciato a renunziaie al mondo, ed alla propria vostra volontà, ed avete preso il giogo della vera obedienzia; a volerla dunque bene osservare e compire questo proponimento in fine alla morte, vi conviene ogni dì di nuovo renunziare al mondo ed a tutte le sue delizie. Ma attendete che la cosa che non si cognosce, non si può nè pigliare, nè lassare, e però c’è bisogno il lume della santissima fede, e con esso lume ponere dinanzi all’occhio del* l’intelletto vostro l’obietto di Cristo crocifisso, nel quale obietto cognoscerete quanto è grave la colpa del peccato mortale; la quale colpa si commette col disordinato amore e volontà che l’uomo piglia, o in sè medesimo, o nelle creature che hanno in sè ragione, o nelle cose create, e tanta è la gravezza del peccato mortale, che solo uno è sufficiente a mandare 1’ anima all’ inferno che dentro vi si trova legata. Tanto dispiacque a Dio e dispiace, che per punire il peccato di Adam, mandò il Verbo dell’unigenito suo Figliuolo, e volselo punire sopra il corpo suo, conciossiacosaché in lui non fasse veleno di peccato, nondimeno per satisfare alla colpa dell’uomo, e per non lassarla impunita, il punì sopra il Verbo dell’unigenito suo Figliuolo; unde Cristo benedetto fu nostra giustizia, e la giustizia e la pena che doveva portare l’uomo, la portò elli, e come innamoralo per compire l’obedienzia del padre, e la salute nostra corse all obrobriosa morte della santissima croce. Sicché bene vediamo in questo obietto del Verbo quanto è grave la colpa del peccato mortale. Vedendo dunque che elli è di tanta gravezza e tanto spiacevole a Dio l’anima che l’ha cognosciuto col lume della lede. l’odia e vienli a grande