Pagina:Caterina da Siena - Epistole, 2.djvu/37

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3 7 di noi medesimi; perocché quando l’anima conosce sè medesima non essere, ma sempre operatore di quella cosa che non è, cioè del vizio e del peccato, subito diventa umiliata a Dio e ad ogni creatura per Dio; e conosce ogni grazia ed ogni benefizio da lui, e vede in sè traboccare tanta bontà di Dio, che per amore di lui ed odio di sè, cresce in tanta giustizia di sè medesimo, che volentieri che non tsrnto che vogli fare vendetta, ma elli sempre desidera che tutte le creature ed eziandio li animali ne /accino vendetta di luì, ed ogni creatura giudica migliore di sè; onde allora nasce uno odore di pazienzia, che non è niuno peso sì grande nè tanto amaro che con buona pazienzia per amore e per giustizia elli noi porti;

non vede sè come colui che. annegato in questo amore, nè vede pene, nè ingiurie che gli sieno fatte, ma solo vede c raguarda all’onore di Dio ed alla salute delle creature, ed eziandio non tanto non vede le cose amare, ma le carezze dolci e le consolazioni di Dio per odio di sè, reputandosi indegno di tanta visitazione e consolazione quanta riceve da Dio, per umiltà grida spesse volte nel cospetto suo la parola di s. Pietro, cioè: partiti da me perocché io son peccatore; ed allora Cristo più perfettamente si cougiunge con l’anima, ed allora è diventato gustatore e/ mangiatore dell’anime. Or cosi vi prego da parte di Cristo crocifisso, che facciate voi. Permanete nel santo e vero conoscimento di voi medesimo. Jesù dolce, Jesu amore. .