trascorre, impune, a ogni insolenza, a ogni braverìa, a ogni delitto; leva scandali e rumori per tutto ove passa; lascia traccia di sangue per ogni via; sparge dovunque il terrore. Sorge sulla tribuna Pompeo a parlare in favor di Milone? I partigiani di Clodio lo fischiano, l’insultano, lo svillaneggiano. Spalleggia Catone il consolato di Enobardo? Le masnade di Pompeo e di Crasso il feriscono. Svergogna Clodio la terza moglie di Cesare? Ha femmine e ribaldi che lo difendono. Che più? La città, il senato, la legge, le sostanze e la vita dei migliori cittadini erano nelle loro mani.
E l’esercito? come più contenerlo dopo tante vittorie? ridurlo a ragione, quando disponeva della forza? Un tempo la forza era della repubblica; ora la repubblica è della forza: il braccio comanda al pensiero. La guerra, che per i soldati è un mestiere, per la repubblica è una necessità, non solo per tenere in freno le province tumultuanti e sconfiggere i barbari non mai domati, ma per occupare i soldati, per divertire le armi, se non le menti, dalla guerra civile. Triste condizione d’uno Stato aver paura della propria forza! Rimedio disperato ed inefficace strappare di mano il coltello a chi ha fermo in mente di uccidersi. La forza vien dal pensiero; e quando le menti sono scisse, si ha un bel fare ad allontanare le armi: la guerra civile si proroga, non si scansa. O le armi sono sconfitte dagli stranieri, e la repubblica ne ha danno e vergogna, senza accrescere per questo la sua sicurezza interna; perchè i malcontenti, che son sempre i più, traggono da quella sconfitta argomento a declamar contro di essa, sotto il comune pretesto, di non aver saputo difendere l’onore