A Castore e Polluce alza le palme
Disperato il nocchier, levasi a un punto
Lene lene una dolce aura seconda; 85 Tal fu di Manlio a noi l’aiuto; il chiuso
Fin dei miei campi egli amplïommi, e a lui
Stanza ospitale e la mia donna io deggio.
Là, ne l’asil dei nostri mutui amori
Trasse un dì il piede piccioletto e molle 90 La mia candida Diva, e la frequente
Soglia sfiorando con la sòla arguta
De l’aurato calzar, stette, a la guisa,
Che, tutta amor ne l’alma, a la mal presta
Reggia Protesilëa Laodàmia avvenne, 95 Quando ancora l’eroe d’ostia veruna
Non avea sparso il sangue, e alcun dei Numi
Fatto propizio ai maritali alberghi.
Deh! a me, vergin Ramnusia, unqua non piaccia
Il temerario ardir, ch’opra incominci 100 Senza l’auspicio degli Dei! Ben quanto
Bramin di sangue pio l’are digiune
Laodàmia il seppe, al cui tenace amplesso
Fu divelto anzi tempo il collo amato
Del novello marito. E non avea, 105 Misera! ancor di due verni sapute
Le lunghe notti, e fatto pago ancora
L’avido amor, tal che tradur potesse
Ne l’improvvisa vedovanza i giorni!
Ma le Parche il sapean, ch’egli dovea 110 Già non guari perir, se d’armi cinto
Andasse ad oppugnar d’Ilio le mura;
Però che a la fatale Ilio in quei giorni