Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/213

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riconciliazione. 207

     S’abbandonò ne le mie braccia. Amore
175     Tutt’alba il volto e tutto oro le vesti
     Le danzava d’intorno a la persona
     Splendidissimamente. Or, ben che paga
     Di noi soli non sia, pur io sostengo
     Rari e cauti i suoi furti, onde non farmi,
180     Com’è da stolti, oltre il dover molesto.
     Arde essa Giuno in fra’ continui torti
     Del suo divo marito, essa che incede
     Massima in fra gli Dei, nè i furti ignora,
     Ch’avido d’ogni amor Giove commette.
185     Ma iniquo è l’assembrar gli uomini a’ Numi;
     E ingrato il brontolar da mane a sera
     Co ’l cipiglio d’un nonno. Ella a la fine
     Da le case paterne a man condotta
     Non venne a me, spirante assirî odori;
190     Ma a le braccia del suo proprio marito
     Involandosi, a me trasse furtiva,
     E in quella notte d’estasi i suoi primi
     Doni soavi a l’amor mio concesse.
     Oh! pago io sono, e se un dì sol m’è dato,
195     Del più candido sasso ella me ’l segni!

Questo, di tanti beneficî in prezzo,
     Umile carme a te mandar poss’io;
     Altro, o Manlio, non posso, onde il tuo nome
     Per quanti saran mai giorni e stagioni
200     L’irta ruggin non morda. Aggiungeranno
     Quei favori gli Dei, che Tèmi un giorno
     Ai pietosi assentia mortali antichi.