Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/229

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discordia finale. 223

26.

A SÈ STESSO.


Se alcuna voluttà cara e gentile
     È il ricordar l’opre benigne e pie
     3Ad uom che mai tenne la fede a vile,
Che mai per voglie nequitose e rie
     Non ruppe il giuro ed abusò i Celesti,
     6Nè tentò de l’inganno unqua le vie;
Quante, o misero cor, quante da questi
     Danni che or soffri da un ingrato affetto,
     9Gioie avverrà che l’avvenir t’appresti!
Che quanto mai di ben fu oprato o detto,
     Tanto, o misero cor, fatto hai per lei,
     12Che di perfido oblìo cinge il suo petto.
Or che più t’assaetti? Ai negri e rei
     Giorni t’invola; esser d’acciar conviene,
     15Che il tuo dolor non è grato agli Dei.
Ahi! che un antico amor mai non avviene
     Sveller dal petto e in un sol punto: è cosa
     18Difficil troppo, e molte al cor dà pene.