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Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/23

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i tempi di catullo. 17

si cercò rimpalmare alla meglio la vecchia baracca. Le leggi son come le toppe in un vecchio vestito; più tu ne metti, e più il vestito è alla corda.

La corruzione dei costumi tenne dietro alle conquiste d’Asia, s’estese e divampò sempre più col divampare delle guerre intestine. Il popolo romano somiglia a quei giovanetti, educati rigidamente in famiglia, tenuti lontani da ogni piacere, custoditi, spiati, sindacati in ogni cosa, fin dentro al pensiero. Hanno un tantino di libertà? Addio: non c’è più verso di tenerli in freno. La nostra natura è una molla: più la premi e meglio scatta.

La voluttà era un mondo ignoto ai Romani: bisognava conquistarlo. I fichi di Cartagine, mostrati al popolo da Catone, son come il primo e più volgare indizio di quel mondo. La conquista fu intera e completa: cominciò ai tempi di Silla1 e finì coll’impero. Il rispetto alla legge avea fatto i Romani più che uomini; la licenza li fece men che femmine. Gli ambiziosi facevano a gara per corrompere il popolo; e mentre questo divora spensierato alle diecimila mense imbandite da Crasso,2 si pasce di squisite vivande mollemente sdraiato sui ventiduemila triclinii ordinati da Cesare,3 s’accarezza soddisfatto la pancia, che gli ha impinzata Lucullo4 o Pompeo; essi hanno tempo ed agio di far man bassa su tutto. Dalle grandi ricchezze, dice Sallustio, cadde la gioventù romana in grande lussuria,

  1. Sallustio, Catil., IX.
  2. Plutarco, in Crasso.
  3. Plutarco, in Caesare.
  4. Plinio, Hist. Nat., XIV, 14.