Pagina:Cesare Balbo - Delle speranze d'Italia.djvu/21

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dedica seconda xv


E ciò avete fatto voi, Signore ed Amico, indubitabilmente nel vostro libro del Primato; ciò spero anch’io, or seguendovi ed ora osando scostarmi da voi. E quindi non è la dedica, è il titolo stesso quello che potè nuocere al libro mio; è quella parola di Speranze sollevata contro a tutti i disperanti d’Italia. Ed io la sollevai, confesserollo, con imprudenza compiuta; non pensai, nè incominciando nè innoltrando ai disperanti. Mi rivolsi, incominciando, contro a coloro che trovan tutto bene in Italia, e non pensai a coloro che trovano tutto male; mi rivolsi, innoltrando, contro a coloro che han troppe speranze, e non pensai a coloro che non ne hanno nessuna: non pensai vivesse uno che disperasse intieramente di una nazione di 20 e più milioni d’anime, in questa età progressiva, in questa operosità universale. Stolto io! or m’avveggo, ne sono molti: alcuni alti ed altissimi, alcuni bassi e bassissimi; alcuni dentro, alcuni fuori; alcuni bianchi, alcuni neri; moltissimi. Delle Paure, e non Delle Speranze d’Italia avrei dovuto intitolare e fare il libro mio, per costoro; e lusingando negli uni la paura dello spauracchio nero, negli altri la paura dello spauracchio bianco, avrei servito a tutte le paure; servito forse a quelle persecuzioni ed a quegli apparecchi di vendette che sono sole ed impotenti operosità degli uni e degli