Pagina:Cesare Balbo - Delle speranze d'Italia.djvu/20

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xiv dedica seconda

sperazione universale. V’è all’incontro il disperante languido, il quale langue a tutto ciò che desta l’altro, a tutto ciò che desta chicchessia; langue a tutti i fatti, a tutte le occasioni, a tutte le speranze; e quest’è la specie più numerosa e più volgare di qua e di là. E v’è di qua e di là il disperante importante, che della sua disperazione s’è fatta un1 autorità, una abilità, o come si suol dire una posizione; dalla quale poi egli guarda di su in giù, gravemente sorridendo, a chiunque non dispera sapientemente con esso. E vi sono i disperanti allegri, che si dan buon tempo; e i disperanti speciali, che non veggono speranza se non nella loro specialità (i men cattivi forse, perchè almeno operano in essa); e perfino i disperanti pretendenti religione, pretendenti smettere ogni pensiero della patria, verso cui è pure uno de’ primi doveri della cristiana carità. Tutti questi insieme poi fanno una massa, una pluralità, una generazione fatale alla nazione intiera, che incoraggiano allo scorarsi; fatale specialmente a chiunque fa, scrive o parla per incuorare; più fatale a chi incuora a ciò che sia da fare moderatamente, cioè immediatamente, continuamente, universalmente. — E in tal paese dunque è più bello che in qualunque altro il porsi forte contro ai disperanti di qua e di là, ed anche di mezzo.