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160 Chi l’ha detto? [531-533]

montel (Oeuvres, vol. V, pag. 188), Wieland, Thomas Paine avevano già detto che le sublime touche au ridicule ed è in questa stessa forma che il conte Potocki che assistè alla conversazione di Varsavia riferisce le parole di Napoleone.

Napoleone che testè citavo, è meraviglioso esempio dell’incostanza della fortuna, egli che fu

531.        Due volte nella polvere,
   Due volte sugli altar.

Altro esempio, non meno degno di memoria, sarebbe quello di Belisario, di cui narra la leggenda che negli ultimi anni di sua vita, fatto bersaglio alle calunnie degli invidiosi, fosse accecato per ordine dell’imperatore Giustiniano, e ridotto a mendicare in Costantinopoli ripetendo le parole:

532.   Date un obolo a Belisario.

Ma tutto questo è leggenda: è bensì vero che Belisario cadde in disgrazia dell’imperatore, ma dopo soli sette mesi fu reintegrato negli antichi onori, e morì poco dopo (marzo 565). La tradizione fu raccolta e forse diffusa dal monaco bizantino Giovanni Tzetza il quale nella III Chiliade delle Variæ Historiæ (cap. LXXXVIII. versi 339-348) così scrive, secondo la versione letterale del Lacisio: «Iste Belisarius imperator magnus, Justinianeis existens in temporibus imperator, ad omnem quadrantem terræ cum explicuisset victorias, postea invidia obcæcatus (o fortunam instabilem) poculum ligneum detinens, clamabat in stadio: Belisario obulum date imperatori, quem fortuna quidem clarum fecit excæcat autem invidia. Alii dicunt chronici, non excæcatum fuisse hunc, ex honoratis autem infamem postremo factum esse, et iterum ad revocationem extimationis venisse prioris.» È probabile che lo Tzetza abbia confuso Belisario con Giovanni di Cappadocia, il quale infatti cadde in disgrazia dell’imperatore, e si ridusse a chiedere la carità per vivere.

Si ricordi pure la miseranda fine di Troia di cui

533.      ....Etiam periere ruinæ.1

(Lucano, Farsalia, lib. IX, v. 969).

  1. 533.   Ne sparirono perfino le rovine.