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[774-777] Ira, collera, ingiurie, offese, vendetta 249


Ma l’ira è cieca, e molte volte il destino lascia cadere vuote e irrite le sue minaccie. Come rimasero vane quelle d’Ismeno e dell’Inferno, e come nella cantica In morte di Ugo Bassville del Monti (c. I, v. 3) lo «spirto d’Abisso» se ne parte.

774.   Vôta stringendo la terribil ugna.

così a’ giorni nostri si spersero al vento quelle di chi tentava opporsi al fatale andare dei destini d’Italia. Fra le molte che restano nella memoria dei presentì in quella fortunosa età, ricordo questa, narrata in due versi di uno stornello di Francesco Dall’Ongaro intitolato Maria Antonia:

775.   Vo’ colle trecce delle livornesi
     Farmi le materasse e gli origlieri.

che dicesi (ma forse è leggenda) riproducano veramente le parole dette da quella superba granduchessa di Toscana nell’aprile 1859 dopo la sollevazione di Livorno. Se non avesse avuto altro da porre sul letto nell’esilio di Salisburgo, poteva dormire per terra!

Nasce l’ira d’ordinario dalle ingiurie ricevute. Disse di queste Giacomo Leopardi nei suoi Pensieri, che:

776.   Gli uomini si vergognano, non delle ingiurie che fanno, ma di quelle che ricevono. Però ad ottenere che gl’ingiuriatori si vergognino, non v’è altra via, che di rendere loro il cambio.

Ecco un classico esempio di invincibile rancore per un’antica offesa:

777.   Manet alta mente repostum
Judicium Paridis spretæque injuria formæ.1

(Virgilio, Eneide, lib. I. v. 26-27).

È il risentimento di Giunone contro Paride e la casa di lui pei l’offesa fatta alla sua bellezza nel famoso giudizio fra le tre Dee.


  1. 777.   Sta riposta nel profondo dell’animo la memoria del giudizio di Paride, e dell’ingiuria fatta alla sua spregiata bellezza.