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252 Chi l’ha detto? [785]


dinanzi, e fattolo disarmare in sulla piazza, e dicendoli tuttavia villane e ingiuriose parole, alle quali il Ferruccio rispose sempre animosamente, gli ficcò, chi dice la spada, chi dice il pugnale e chi una zagaglia, chi dice nel petto e chi nella gola, e comandò a’ suoi (avendo egli detto, tu ammazzi un uomo morto) che finissero d’ammazzarlo, o non conoscendo o non curando l’infinita infamia, che di così barbaro e atroce misfatto seguitare gli doveva.» Così narra Benedetto Varchi nel lib. XI della Storia Fiorentina, ed è il solo storico fiorentino che accenni a queste parole: gli altri seguono piuttosto Paolo Giovio, il quale nelle Histories sui temporis, lib. XXIX (ediz. origin. del Torrentino, 1552, to. II, pag. 137) così riporta la risposta del Ferruccio:
«Haec non iniqui semper Martis sors est, quæ tibi bellum gerenti obvenire potest. Sed tu si me occidas, neque utilem, neque decoram ex mea nece laudem feres.» Sull’autenticità del racconto del Varchi e sulla tentata riabilitazione del Maramaldo vedansi due libri, uno di Edoardo Alvisi, La battaglia di Gavinana (Bologna, 1881; notevoli confutazioni di P. Villari nella Rassegna settimanale, vol. VIII, p. 278 e di R. Renier nel Preludio, anno V, p. 237), l’altro di Alessandro Luzio, Fabrizio Maramaldo (Ancona, 1883).

Ma c’è finalmente anche una santa ira, cioè quella contro il vizio e l’ingiustizia, ed a questa ira allude il Salmista là dove dice:

785.   Irascimini et nolite peccare.1

(Salmo IV, v.4).

Ma il Martini così interpreta questo passo: «Se voi siete sdegnati contro di me, guardatevi però dal ribellarvi contro lo stesso Dio; pentitevi nel riposo e nella quiete della notte de’ cattivi disegni, che l’ira vi mette in cuore contro di me.»


  1. 785.   Adiratevi, ma guardatevi dal peccare.