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[918-921] Morte 291


peut-être. Il est au nid de la pie: dis-lui qu’il s’y tienne. Pour toi, tu ne seras jamais qu’un fou. Tire le rideau, la farce est jouée.» Ma, ripeto, nessuna seria autorità conferma questo racconto, non più dell’altro, anche più fantastico, secondo cui Rabelais vicino a morire si sarebbe fatto rivestire di un domino per giustificare le note parole della Scrittura:

918.   Beati mortui qui in Domino moriuntur.1

(Apocalisse, c. XIV, v. 13).

A questo medesimo versetto si riconnette un più lugubre ricordo, quello delle stragi di Perugia (20 giugno 1859) e dei solenni funerali indetti ai mercenari svizzeri, saccheggiatori e massacratori, morti nel combattimento. «Quei funerali furono ordinati ed eseguiti dal cardinale vescovo Pecci, poi papa Leone XIII, il quale fece collocare sul catafalco la inscrizione: Beati mortui qui in Domino moriuntur, che diretta a tali morti e messa in tale circostanza, suonava un insulto a Dio» (F. Bertolini, Storia del Risorgimento Italiano, cap. XVI. - Leti, Roma e lo stilo pontificio dal 1849 al 1870, 2a ed., vol. I, pag. 386).

Più autentica sarebbe la risposta di Fontenelle in punto di morte a chi gli domandava conto della sua salute:

919.   Cela ne va pas, cela s’en va.2

Antonio Lemierre è autore pochissimo noto fra noi, tuttavia è di lui il verso:

920.   Caton se la donna — Socrate l’attendit.3

che a proposito della morte si suole citare non raramente: nella tragedia Barnevelt (a. IV. sc. 7). Più noti invece sono La Fontaine, che sì nobilmente descrisse la morte del giusto dicendo:

921.   Rien ne trouble sa fin; c’est la soir d’un beau jour.4

(Philémon et Baucis, poème, v. 14).

  1. 918.   Beati i morti che muoiono nel Signore (cioè con la grazia di Lui).
  2. 919.   Non va, se ne va.
  3. 920.   Catone se la dette, Socrate l’aspettò.
  4. 921.   Nulla turba la sua fine; è la sera di un bel giorno.