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290 | Chi l’ha detto? | [916-917] |
colo XVI, Palermo, 1873). Ecco intiera la prima sestina, la più nota, della canzone:
Fenesta ca lucive e mo non luce,
Segno è ca Nenna mia stace malata:
S’affaccia la sorella e me lo dice:
«Nennella toia è morta e s’è atterrata;
Chiagneva sempe ca durmeva sola,
Mo dorme co li muorte accompagnata».
E la musica? Volevano che fosse addirittura del Bellini. Certo è dolcissima e degna di lui; ma il Di Giacomo crede invece che Luigi Ricci l’abbia fornita al famoso editore di melodie napoletane, Gugl. Cottrau, che ne fece una riduzione e la stampò come cosa sua nella prima metà di questo secolo; l’uno e l’altro profittando di noti motivi belliniani e rossiniani. Vedasi pure quel che ne scrisse Amilcare Lauria nella Nuova Antologia, IV ser., vol. LXV, fasc. del i° settembre 1896, p. 117.
Fra i pochi scrittori stranieri, meglio conosciuti in Italia, che ci hanno lasciato retaggio di frasi funebri, ricorderemo in prima linea il curato di Meudon, Rabelais, che dal suo letto di morte scrisse al Card. de Châtillon:
916. Je m’en vay chercher un grand peut-être.1
e la frase è restata, come è restata l’altra pure a lui attribuita, ma con minor fondamento:
917. Tirez le rideau, la farce est jouée.2
Narrasi, benchè sia stato più volte smentito, che Rabelais la dicesse ridendo agli amici che lo circondavano sul letto ove agonizzava: ma avanti di Rabelais, l’aveva detta certamente, benchè in greco, Demonatte morente (Lucianus Samos., Vita Demonactis, § 65). Secondo un’altra versione queste parole sarebbero state dette da Rabelais morente al paggio del Cardinale di Bellay, venuto a nome di questo prelato a prendere notizie di lui: «Dis à monseigneur l’état où tu me vois. Je m’en vais chercher un grand