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[912-915] Morte 289


912.   L’è mort? l’è propri mort? Cossa vœur dì
Sta gran parola che fa tant spavent?1

a Giuseppe Giovacchino Belli che in un sonetto romanesco L’amore de li morti, del 19 settembre 1835, con molta filosofia giudicava che:

913.   Li vivi poi-poi, bboni o cattivi,
So’ cquarche ccosa mejjo de li morti,
Nun fuss’antro pe’cquesto che sso’vivi.

o anche all’altro capo ameno il quale disse di un tale che morì così all’improvviso:

914.   .... Du’ minuti avanti di morì
Pare na bu..., ma era vivo!

ed è in uno sbrigliato sonetto in dialetto pisano di Neri Tanfucio (Renato Fucini) intitolato La morte ’mprovvisa.

915.   Fenesta ca lucive e mo non luce2

è il primo verso, notissimo, di un’antica canzone napoletana, sulla quale si è fantasticato assai. È antica e comune opinione ch’essa risalga ai tempi di Masaniello, mentre il Di Giacomo che nel suo volumetto Celebrità napoletane (Trani, 1896) ha studiato con amore questo argomento, assicura che la prima edizione a stampa di questa canzone fu fatta da certo Mariano Paolella in Napoli verso il 1854, il quale dice di avere rifatto la presente elegia (?) sulla traccia di «poche parole canticchiate dal popolo, massime dalle donnicciole.» Il Di Giacomo ritiene che egli traducesse liberamente in napoletano la poesia siciliana con la quale Matteo di Ganci nel secolo xvi cantò la pietosa morte della Baronessa di Carini, ancora viva nella leggenda popolare (v- Salomone-Marino, La baronessa di Carini leggenda popolare del se-


  1. 912.   È morto? è proprio morto? che cosa vuol dire questa parolona che fa tanta paura?
  2. 915.   Finestra che luceva (era illuminata) e ora non luce.

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