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Pagina:Chi l'ha detto.djvu/399

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[1112-1114] Parlare, tacere 367


E poi il cicaleccio, erudito o no, di codesta noiosa genìa, è desso sempre innocente? Ne dubito assai, e prima di me ne dubitava il saggissimo Salomone, il quale pensava che:

1112.   In multiloquio non deerit peccatum.1

(S. Bibbia, Libro dei Proverbi, cap. V, vers. 19).

Comunque, fosse pure il colloquio più onesto, benigno ed innocente del mondo, avrebbe sempre il gravissimo torto di far perdere quel tempo, che potrebbe essere più utilmente impiegato in mille faccende di maggior momento. Tenesse sempre presente il ciarliero la sentenza di Ovidio:

1113.   Dum loquor, hora fugit.2

(Amores, i. el. xi, v. 15).

o anche le parole di Orazio nelle Odi (I, XI, 7-8):

          Dum loquimur, fugerit invida
          Ætas.

Non di rado ai danni del tempo perduto si uniscono anche altri pericoli:

1114.   Rumores fuge.3

dice nel libro I, dist. 12, dei Disticha de moribus, Dionisio Catone; ma il motto intiero suona così:

          Rumorem fuge, ne incipias novus auctor haberi:
          Nam nulli tacuisse nocet, nocet esse locutum.

Donde si vede che citando, come si fa comunemente, le due prime parole sole nel significato di fuggire i tumulti, ecc., si travisa il concetto dello scrittore, il quale invece raccomanda di fuggire le ciarle pee non incorrere nel pericolo di essere tenuto autore di qualche maldicenza. Inoltre l’autore di esse nulla ha che fare con Catone Censore o coll’Uticense, cui la voce pubblica le ascrive.


  1. 1112.   Le molte ciarle non possono essere tutte innocenti.
  2. 1113.   Mentre parlo, l’ora fugge.
  3. 1114.   Fuggi i rumori.