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[1265-1269] Piacere, dolore 429

è detto da Enea a Didone, che lo invita a narrarle la distruzione di Troia. Molto opportunamente lo usò il P. Faure, cappuccino, che fu poi vescovo di Amiens nel 1653; predicando un giorno sulla passione di Cristo a St. Germain-l’Auxerrois, entrò la regina mentre la predica era già cominciata: allora il Faure rivolgendosi a lei, s’inchinò, recitò il verso virgiliano e ricominciò da capo.

Una classica reminiscenza di Virgilio sono i famosi versi danteschi:

1265.        .... Tu vuoi ch’io rinnovelli
Disperato dolor che il cor mi preme
Già pur pensando, pria ch’i’ ne favelli.

(Dante, Inferno, c. XXXIII, v. 4-6).

L’Alighieri nella pittura del dolore tocca veramente il sublime, ed ecco altri versi di lui, tutti ugualmente noti, ed ugualmente tolti al terribile racconto del Conte Ugolino, che esprimono la manifestazione del dolore:

1266.   Io non piangeva; sì dentro impietrai.

(Inferno, c. XXXIII, v. 49).

1267.   Ambo le mani per dolor mi morsi.

(Inferno, c. XXXIII, v. 58).

1268.   Ahi, dura terra! perchè non t’apristi?

(Inferno, c. XXXIII, v. 66).

Le altre parole di Dante:

1269.   Io non morii, e non rimasi vivo;
     Pensa omai per te, s’hai fior d’ingegno,
     Qual io divenni, d’uno e d’altro privo.

(Inferno, c. XXXIV, v. 25-27).
sono veramente da lui dette, non a proposito di alcun dolore, ma per il grande spavento provato a vedere Lucifero, tuttavia si applicano ugualnmente bene ad esprimere sì uno che l’altro sentimento.

Però la manifestazione più comune e più visibile del dolore è il pianto che porta anche un certo sollievo a chi può dargli libero corso, per cui dice benissimo Ovidio: