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596 | Chi l'ha detto? | [1792-1795] |
È Claudio che così esclama riconoscendo alle vesti le cortigiane della Suburra (Subura, borgo della antica Roma, che si stendeva nella valle fra l’Esquilino e il Quirinale, ed era pieno di taverne e di luoghi infami) le quali vengono al palazzo a denunziargli le dissolutezze della moglie Messalina; di quella Messalina che non volle in fatto di disonestà restare da meno dell’altra regina asiatica, Semiramide, la quale, secondo la frase di Dante,
1792. Libito fe’ licito in sua legge.
(Inferno, c. V, v. 56).
(confronta col Si libet, licet, parole di Giulia Domna, seconda moglie dell’imperatore Settimio Severo, al figliastro Caracalla, in Ael. Spartian., Caracalla, cap. 10); di quella Messalina, che ha lasciato il nome suo turpe a indicare una donna di perduti costumi, una di quelle sciagurate menzionate da Dante medesimo nel verso:
1793. ....Qui non son femmine da conio.
(Inferno, c.XVIII, v. 66).
Un altro verso di Dante, che qui cade in acconcio, poiché parla di vizî e di gente viziosa, è il seguente:
1794. Ruffian, baratti e simile lordura.
(Inferno, c. XI, v. 60).
Un versetto del Pentateuco minaccia lo sdegno divino ai violenti nel sangue altrui:
1795. Vox sanguinis.... clamat ad me de terra.1
(Genesi, cap. IV, v. 10).
La stessa immagine è ripetuta pure nella Genesi, XVIII, 20 e XIX, 13, nell’Esodo, III, 7 e XXII, 23 e nella Epist. di S. Giacomo, V, 4. Ne trasse la dommatica scolastica la locuzione dei peccati che gridan vendetta al cospetto di Dio, peccata clamantia, di cui la definizione fu compresa in due rozzi versi mnemonici:
Clamitat ad cœlum vox sanguinis et sodomorum,
Vox oppressorum viduæ, pretium famulorum.
- ↑ 1795. La voce de sangue [di tuo fratello] grida a me dalla terra.