Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/101

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le prime relazioni con p. giordani 73

non era riuscito ad infondere in esse il calore che non aveva nell’animo. Dico questo, perchè i primi quattro canti del poema leopardiano, a parte le imperfezioni artistiche, lasciano freddo il lettore. Ciò che vi ha di meglio, anzi di veramente bello, sono alcune brevi descrizioni, fatte con quel sentimento della natura ch’egli fin da giovane ebbe come pochi altri in Italia. Invece nel canto quinto c’è un po’ di calore e di vita; c’è la lotta fra l’umano e il divino, fra il giovane che vorrebbe vivere e si dispera di dover morire e il religioso che sente il dovere di rassegnarsi alla volontà divina, e vorrebbe persuadersi che ciò è per il suo meglio, ma non ci riesce. Il divino trionfo nelle parole, l’umano nel sentimento. Le invocazioni e le preghiere a Dio e alla Madonna sono fredde e sbiadite in confronto della pietà che suona in questo lamento:

O dolci studi, o care Muse, addio.
Addio speranze, addio vago conforto
Del poco viver mio che già trapassa:
....................................
Povera cetra mia, già mi t'invola
La man fredda di morte, e tra lo dita
Lo suon mi tronca e 'n bocca la parola.

Si sente che il poeta, anche dopo la visione, preferisce le miserie di questo mondo alla beatitudine celeste. Verrà tempo, e non lontano, ch’egli invocherà la morte sinceramente; ma allora ahimè non crederà più nella vita futura.



Prima di comporre la Cantica, la quale non era, almeno per allora, destinata alla pubblicazione, il Leopardi aveva, sullo scorcio dell’estate, fatta, come sap-