Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/106

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78 capitolo iv.

Per sottrarsi a tanta schiavitù, Pietro, seguendo l’ esempio del fratello maggiore, cercò, per disperazione, rifugio in convento, e a ventitré anni si fece frate. Ma quella non era vita per lui: passati tre anni rientrò nel mondo, gittandosi alla ventura, solo, senza aiuti, senza conoscenze, deliberato di combattere con le armi della probità, dell’ingegno, del forte volere la lotta per la esistenza. Combattè e vinse. Ed ora il prodigioso giovinetto di Recanati rivolgevasi a lui come al principe degli scrittori italiani viventi.

Era naturale, nonostante la differenza della età (il Giordani aveva ventiquattro anni di più), che i due nobili ingegni si sentissero attratti, come da una corrente di simpatia, l’uno verso l’altro.

Il Giordani disprezzava e odiava ferocemente i preti e i nobili cattivi e ignoranti, e faceva aperta professione di questi suoi sentimenti; ma, se ne trovava qualcuno virtuoso e cólto, lo portava alle stelle; perchè gli stava in testa che dalla virtù e dal sapere delle classi sociali più alte dipendesse in gran parte il bene della patria. Conosceva nei suoi paesi tanti nobili ignoranti prepotenti e presuntuosi, che trovarne uno dotto, buono e gentile in un piccolo paese dello Marche gli parve un miracolo. Anche questa circostanza contribuì non poco ad accendere l’animo del Giordani per il giovino Leopardi; e fino dalle prime lettere si strinse fra i due un’ amicizia viva, forte, sincera; che si mantenne immutata fino alla tomba; e nel Giordani sopravvisse alla morto dell’amico, benchè gli si fosse insinuato nell’animo il dubbio di non essere negli ultimi anni degnamente corrisposto.

Questa amicizia ebbe un’importanza grande nella vita del Leopardi.

Liberatosi, nella rapida evoluzione del suo spirito, dallo idee religiose e politiche e dulia tutela letteraria del padre, egli non aveva, nella trista solitudine di Recanati, una persona autorevole con la quale di-