Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/316

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280 CAPITOLO XIV. poiché questi, scrivendo il 27 dicembre al Brighenti, gli domandava : < Hai tu mai pubblicato il libretto de' miei Versi ? >

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Ai primi di luglio Giacomo aveva, con sua grande sodisfazione, terminato e spedito a Milano tutto il la- voro sul Petrarca ; e sperava di essersi con ciò libe- rato per sempre da quel genere di lavori pedanteschi ; ma l'amico editore, senza aspettare che il Petrarca fosse finito di pubblicare, gli propose un lavoro an- che più pedantesco e più grave, un compendio del Cinonio. Il Leopardi lasciò capire che non lo faceva volentieri, ma che era rassegnato a farlo, a condizione però che il libro uscisse senza il suo nome; se non clie, messosi all'opera, per vedere di che si trattava, e persuasosi che voler rifondere e perfezionare il Ci- nonio, come egli e l'editore si erano proposti, era cosa impossibile, si dichiarò incapace dell'impresa, e suggerì senz'altro allo Stella di ristampare il Cinonio tal quale come era nella edizione dei Classici italiani. Naturalmente il Leopardi aveva bisogno di segui- tare a lavorare per lo Stella, mancandogli ogni altro mezzo di guadagno per mantenersi fuori di casa, e non potendo sperare nessun assegno dai suoi. Nel gennaio del 182G essendo rimasto vacante un benefizio ecclesiastico nella famiglia Leopardi, Mo- naldo aveva offerto a Giacomo di conferirlo a lui ; ed egli io avrebbe accettato, so avesse potuto otte- nere la dispensa dall'obbligo di leggere l'ullizio divino di vestire da prete. Saputo che non si i)otova, vi rinunciò. Agli impieghi oramai era inutile pensare. Co8Ìcch(> unica via di salvezza al poeta, per non es- Kcre obbligato a tornare a rinchiudersi in Recanati, era procurare di conservarsi l'assegno dello Stella. Perciò, finito il Petrarca e tramontato il Cinonio, gli