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68 capitolo iii.

meditazione soave e toccante, chi non ti ama con trasporto, chi non si sente trascinare verso l’oggetto ineffabile del culto che tu e’ insegni. Comparendo nella notte dell’ ignoranza, tu hai fulminato l’errore, tu hai assicurato alla ragione e alla verità una sede che non perderanno giammai. Tu vivrai sempre e l’errore non vivrà mai teco. Quando esso ci assalirà, quando coprendoci gli occhi con una mano tenebrosa minaccerà di sprofondarci negli abissi oscuri, che l’ignoranza spalanca avanti ai nostri piedi, noi ci rivolgeremo a te, e troveremo la verità sotto il tuo manto. L’errore fuggirà come il lupo della montagna inseguito dal pastore, e la tua mano ci condurrà alla salvezza.»1

Le idee politiche esposte dal nostro autore nella Orazione non tanto riflettevano le opinioni del padre suo, quanto le tristi impressioni lasciate in lui fanciullo dalla invasione francese e da ciò che aveva udito dire di quel governo. L’immagine di Napoleone gli era rimasta nella mente come quella di un tiranno scellerato: tutto ciò che sapeva della Francia napoleonica era per lui riprovevole e odioso. Associando a queste idee i suoi ricordi del mondo romano, e immaginandosi d’essere un oratore antico, scagliò i fulmini delle sue parole contro un tiranno immaginario; contro il povero e prode Gioachino Murat, che cadeva ahimè fulminato dalle palle del Borbone. Mentre i patrioti italiani deploravano spento in lui il futuro liberatore d’ Italia, il giovinetto Leopardi gl’idirizzava questo amare parole: «Folle straniero, perdio volevi tu sollevarci contro i nostri principi? Avevamo noi forse dei tiranni? Egli ò strano che il solo tiranno che fosso in Italia abbia esortati i popoli alla ribellione, o intimata guerra a una sognata

  1. Giacomo Leopardi, Scritti letterari citati, vol. I, pag. 835 e seg.