Pagina:Cicerone, Paradoxa (volg. it).djvu/17

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5 fussino men grati agl’Iddii immortali, che le ricche e dilicate tazze degli altri? Io lascio a dietro tutti gli altri: imperocché tutti sono equali a loro, eccetto Tarquinio superbo. E se alcuno domandasse Bruto, quello che e' fece nel liberare la patria, e quello che aspettassino gli altri consapevoli del medesimo consiglio, e quello che poi acquistarono, or sarebbe alcuno, il quale paresse avere avuto in proposito o voluttà, o ricchezze, o alcuna altra cosa oltra l’ufficio dell’uomo forta e magno? Che cosa costrinse Quinto Mutio alla morte di Porsenna sanza speranza di sua salute? Che forza tenne Orazio Coclite solo nel ponte contro a tutto l’eserdito de' nimici? Che forza dette e mise il padre Decio et il figliuolo contro all’armate copie de' nimici? Che seguiva la continenzia di Gaio Fabrizio, o il povero vitto di Marco Curio? Che aspettavano i Gnei e Publii Scipioni, duo torre in battaglia: i quali noik dubitarono eb’j^ropri corpi irìterchiudene la impetuosa venuta de* Cartaginesi? Che Affricano maggiore? che il minore? che Catone tra’tempi di cosporo? che altri innumerabili? Imperocché noi soprabondiamo degli esempli de’nostri. Pensiamo noi che coloro stimassind che in questa vita fusse desiderato altro da loro, se non quello che laudabile fusse e paresse egregio? Vengano adunque coloro, che spregiano questo parlare e tale sentenzia, et essi giudichino se più tosto e’volessino essere simili o di costoro, i quali abbondano di case di marmo e d’avorio, e d’oro e di pitture e di sculture e di vasi d’oro e d’ariento; o di Gaio Fabrizio, il quale niente ebbe, niente volle avere di tali cose (s). E queste cose le quali or qua or la sono tra