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luzione, per via di rivoluzione, le popolazioni romane ad ogni modo avrebbero reclamato, e le quali, ad ogni modo, bisognava accordare.

La discordia fra moderati ed esagerati sarebbe cominciata soltanto quando il Papa si metterebbe risolutamente su quella via, quando, cioè, si sarebbe trattato di valutare le concessioni del Pontefice, e di dichiarare se le innovazioni introdotte nel reggimento politico e civile dello Stato romano fossero bastevoli insufficienti.

Frattanto i liberali, in quel momento tutti d’accordo, intuivano, sentivano e comprendevano donde venissero le naturali e logiche opposizioni, le reluttanze, le resistenze e, continuamente, nei circoli, nei banchetti, nei giornali, che cominciavano a far capolino, in barba ai censori domenicani, esaltando il Papa e incoraggiandolo, lo ammonivano a guardarsi dai fraudolenti consigli e dalle arti e dalle insidie dei sanfedisti, dei gesuiti, dei gregoriani, ai quali soltanto - e ragionevolmente - facevano risalire la colpa e la responsabilità delle lentezze, delle esitazioni, delle anfibologie di quella politica oscillante, proclamandone innocente il loro idolo Pio IX1.

Le manifestazioni popolari urtavano i nervi delle congreghe sanfedistiche, perchè tutti quegli applausi al presente si risolvevano, in ultima analisi, in altrettanti fischi e maledizioni al passato: Pio IX, che fu sempre femminilmente vanitoso2, oltremodo se ne compiaceva: ma i suoi consiglieri riuscirono a per-

  1. Sulla reale esistenza di questa situazione, legittima conseguenza delle premesse, sono concordi gli storici L. C. Farini, op. cit., lib. II, cap. II; F. Ranalli, op. cit., lib. I, pag. 59 a 63; e poi il La Farina, il Rusconi, il Cattaneo, il Gualterio, il De Boni, il Torre, il De Lamartine (Histoire de la revolution de 1848, par A. De Lamartine, Paris, Perrotin, libraire-éditeur, 1849, tom. II, liv. XIII, § 2, pag. 213 e suiv.), il Garnier-Pagès, il Perrens, il Reuchlin, il Rey, il Regnault, il Mamiani, il Miraglia da Strongoli, il Pinto, il Gabussi, il Vecchi, il Ricciardi, il Gajani, il Leopardi, l’Anelli, il Guerrazzi, il Montanelli, il D’Azeglio, il Tabarrini, il Pasolini, il Belviglieri, il Poggi, il Guizot, il Nisco, il Massari, il Gioberti, il Mazzini, il Flathe, il Bianchi, il Silvagni, il Bersezio, il Bertolini, Toriani, il Tivaroni, il Saffi, lo Zeller e molti altri i cui nomi, per non allungare soverchiamente questa nota, ometto. E la lentezza e l’oscillazione è ammessa perfino dallo Spada, op. cit., vol. I, cap. VI, pag. 111.
  2. Io riconosco in lui soltanto la vanità; il Minghetti lo accusa — e non dico se a ragione o a torto — anche di animo dedito al pettegolezzo. Vedi M. Minghetti, op. cit., vol. III, cap. IX, pag. 179.