Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/222

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capitolo quarto 215

vi hanno molte affinità e analogie con la esortazione che il grande Machiavelli rivolge al sognato, all’invocato liberatore d’Italia perchè la redima dai barbari; certo di tale esortazione la lettera del cospiratore genovese ha tutto il calore, tutti gli impeti e la passione1.

Certo quella invocazione del Mazzini a Pio IX rimase inascoltata e apparve e fu sogno di un utopista, di un visionario; avvegnachè a nessun uomo sia concesso, per alto e veggente che sia il suo intelletto, per nobile e generosa che sia l’anima sua, di assorgere alla somma dignità del Papato senza che egli sia, dal suo ufficio e dalla sua posizione, costretto a rinnegare qualunque precedente affetto, sentimento e dottrina per dedicarsi, invece, a sostenere e propugnare con tutte le sue forze la tradizione, i diritti, gl’interessi di quella grandiosa e colossale istituzione che è la Chiesa, istituzione nella quale la sua individualità sparisce, da cui è assorbita, con cui si identifica involontariamente spesso, e inconsapevolmente.

Anzi questo assorbimento e questa identificazione dell’individuo nella istituzione non è pure esclusiva del Papato, ma di tutte le umane istituzioni, e se nel Papato è più considerevole e notata, ciò avviene perchè il Papato è, forse, la più potente fra le umane istituzioni e novera diciotto secoli di esistenza e duecento milioni di sudditi spirituali.

Allorchè più ardenti fervevano in Germania e in Italia le lotte fra Guelfi e Ghibellini, fra Chiesa e Impero, verso la metà del secolo XIII, alla morte di Celestino IV, dopo un interregno di due anni, il Conclave elesse a pontefice il cardinale Sinibaldo de’ Fieschi, un cardinale ghibellino, intimo e affettuoso amico dell’imperatore Federigo II, e il quale assunse il nome di Innocenzo IV; i cortigiani ghibellini si congratulavano con Federigo, allietandosi che il nuovo Papa fosse un amico suo e deducendo da questo fatto la speranza che presto si acconcerebbero, e con vantaggio dell’imperatore, le discordie sanguinose che separavano la Chiesa e lo

  1. Queste erano parole di cita dette ad un cadavere, esclama Carlo Cattaneo (op. cit., Considerazioni in fine al I volume dell’Archivio triennale, ecc., pag. 252) a proposito della lettera del Mazzini; sulla quale brontolano il Balan, op. cit., vol. I, lib. II, pag. 197; C. Cantù, Storia degl’Italiani, vol. XIV, cap. CXC; e lo Spada, op. cit., vol. I, cap. XVIII. Cf. con A. Saffi, op. cit, cap. VI, pag. 130 e seg.