Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/308

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capitolo quinto 301

marrone di quella fatta I ... Che dirà Mr Ouizot? meglio che diranno a lui qicei che, secondo il suo givulizio, davano in coledine? (sic). Vi par ella gioia comune codesta? da non diventar rossi, verdi, bianchi ad un punto? E se si verifica presto quel che Pallade pensa, vedrete come diventa! Ella, lo sapete, ha nel volto quello che ha in cuore»1.

E se ho riferito questo articoletto si è perchè esso è una delle cento manifestazioni delle condizioni di sovraeccitazione degli animi a quei giorni, in cui il desiderio di una Costituzione era universale: essa non era invocata ormai più, ma imposta dalla comune volontà della grande maggioranza della popolazione dello Stato romano. Non erano soltanto il D’Azeglio, il Mamiani, il Canino, lo Sterbini, Ciceruacchio, il Masi, il Meucci, il Zauli-Sajani, il Mattey, il Checchetelli, il Dragonetti ed altri siffatti esagerati che la volevano, ma, con pari ardore e tenacità di propositi, la volevano l’Orioli, il Minghetti, il Recchi, il Farini, l’Armandi, il Corsini, il Rignano, il Pantaleoni, il Benedetti, il Ferretti, il Pasolini, tutto il fiore dei moderati più puri.

Basterà leggere due lettere scritte, di quei giorni, da quell’onestissimo uomo che fu il Pasolini, l’una indirizzata a Gerolamo Rota e l’altra a Giacinto di Collegno, per vedere quale opinione egli avesse del Ministero di cui era chiamato - a sua insaputa, senza essere stato preventivamente interpellato - a far parte. «Un uomo politico - egli scrive al Rota - non entra in un Ministero composto di elementi affatto opposti, dove anzi predomina il principio contrario al proprio: un uomo di cuore pub subire la durezza di una tal posiziona, sacrificando così la sua considerazione politica, ma satinando il paese da un disaccordo fatale nel momento che è incerta la soluzione di una delle più grandi questioni dello Stato e del cattolicismo». Egli dichiara che non desiderava di «dare il suo nome ad un Ministero sotto il quale sono state fatte arbitrarie carcerazioni, ecc.»2.

In ambo le lettere egli afferma con candore pari all’energia che il «suo scopo è la Costituzione: e quale ci bisogna:

  1. Pallade del 15 febbraio, n. 168.
  2. P. D. Pasolini, op. cit., cap. V, pag. 80 e 81.