Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/368

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capitolo sesto 361

della Dieta italiana, da convocarsi in Roma, erano il Rusconi, il Dall'Ongaro, il Berti-Pichat, il Masi e lo Sterbini - persuasi della suprema necessità che incombeva su tutti di mantener la concordia, perchè tutte le schiere italiane potessero piombare contemporaneamente contro gli Austriaci, avevano immaginato una confederazione di popoli e una lega di principi, la quale si fondasse sopra una Dieta nazionale composta degli eletti della nazione e che avesse sede in Roma, sotto la presidenza del Pontefice e la quale intendesse a regolare gli affari comuni, come la pace, la guerra e i rapporti commerciali fra i vari Stati.

Ed ecco che, mentre mostrava di annuire a questo disegno, con tanto impeto d’affetto, il subdolo Re di Napoli, egli stesso opponeva il primo insormontabile ostacolo alla effettuazione di quel disegno, quando metteva per assoluta condizione che alla Lega e alla Dieta non dovessero partecipare i Siciliani. E questi, dal canto loro, più di odio contro il Borbone che di amore di Italia accesi, più di separarsi dal reame napoletano che di cacciar d’Italia lo straniero curanti, con lo aver dichiarata, con tanta precipitazione, a mezzo del loro Parlamento, la decadenza della borbonica dinastia e la indipendenza dell’isola, venivano, certo involontariamente, ad accrescere le cause di discordia già esistenti e a privare la guerra nazionale del loro concorso, poiché, minaccati da presso dal Borbone, essi dovevano provvedere alla propria difesa.

E, come se queste discordie non fossero gravi abbastanza, altre ne sorgevano per parte del re Carlo Alberto e dei suoi Ministri, i quali, un po’ inorgogliti dei primi successi militari ottenuti dall’eserito piemontese, non soltanto si ricusavano di inviare rappresentanti a Roma per la Dieta, ma chiedevano invece che il Papa, il Re di Napoli, il Granduca di Toscana inviassero al quartiere generale del Re nell’Alta Italia i loro legati, per stringere patti di alleanza offensiva e difensiva, affermando e sostenendo che, finché la guerra durava, finché lo straniero calpestava il suolo italiano, ogni discussione che trattasse di ordinamenti politici e che di guerra non trattasse si avesse a connsiderare come intempestiva e si dovesse rinviare a guerra finita.

Queste opposizioni all’idea di una Dieta nazionale a Roma, che provenivano più specialmente dal Ministero, presieduto dal