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conte Cesare Balbo e che erano prodotte, sopra tutto, da considerazioni di interesse piemontese1 e miravano a non ritardare, a non impedire la unione dei Ducati e della Lombardia col Piemonte, non ostante che siano spiegabili nelle condizioni di tempo e di spazio in cui avvennero, non sono per questo meno biasimate da molti e dai più autorevoli fra gli storici di cotali avvenimenti, come quelle che producevano funestissimi effetti.


  1. Il conte Cesare Balbo, per l’integrità del carattere, per le molte e belle virtù sue, per le doti dell’ingegno, per la svariata sua dottrina, per il suo grande patriottismo, fu uomo degno delle lodi dei contemporanei e dei posteri. Come storico però, egli fu sempre e così immoderatamente subiettivo, cosi sottopose l’esame di tutti gli avvenimenti storici, anche i più remoti, ai suoi preconcetti, alle sue idee, ai suoi desideri di italiano del secolo XIX che a leggere, oggi, gli scritti suoi, per esempio, il suo Sommario della Storia d’Italia, nel quale le querimonie del postero sapiente della sapienza del poi sono infinite, onde egli versa torrenti di lacrime sulle discordie dei comuni italiani, sulle guerre fratricide delle repubbliche di Genova e di Venezia e via di seguito, senza accorgersi menomamente che quelle erano necessità storiche di quell’ambiente, si è presi ad un tempo da un senso di ammirazione e di pietà; di ammirazione per quel suo profondo patriottismo, onde egli è tratto a desiderare che i fatti della storia, svoltisi necessariamente e logicamente come si svolsero e come si dovevano svolgere, avessero avuto, invece, uno sviluppo diverso e conforme alle sue aspirazioni patriottiche; di pietà nel vedere un uomo di forte ingegno e consumato negli studi pretendere di piegare le leggi storiche a cose impossibili e soltanto perctiò da lui desiderate; quasi che fosse stato possibile che l’unità d’Italia si fosse compiuta, per esempio, a metà del secolo xv, sotto la direzione di Amedeo Vili di Savoia.
          Ora il conte Cesare Balbo come fu storico subiettivo fu subiettivo ministro; e, sottoponendo la considerazione degli eventi complessivi dell’Italia nel 1848, non all’esame degl’interessi generali della nazione, ma a quello subiettivo e quasi personale della egemonia piemontese e opponendosi alla riunione della Dieta, compì, inconsapevolmente, opera che non fu, nei risultati, patriottica invero.
          E, quantunque, io mi spieghi, obiettivamente considerando le cose, quella politica del Balbo, dello Sclopis e del Pareto - che era pure del D'Azeglio, come risulta da molti suoi atti e da molte sue affermazioni, avvalorate dal documento nuovo che io pubblico sotto il n. 102 - e quantunque non, creda che, quand’anche il Ministero piemontese avesse aderito alla Dieta, questa si sarebbe riunita e avrebbe raggiunto efficaci e durevoli risultati, perchè troppe ragioni si opponevano alla sua riuscita, pur tuttavia non posso non unirmi a coloro che quella politica dal Balbo giudicano cattiva e funesta.
          Che il Balbo, poi, fosse mosso da considerazioni egemoniache piemontesi lo provino queste sue parole, contenute in una lettera indirizzata al conte di Castagneto, il 21 maggio dello stesso anno 1848, relativamente all’annessione della Lombardia al Piemonte, annessione che era stata dalle popolazioni votata colla condizione della Costituente. «Non si fa nulla di buono, né di grande - conclude, con ingenua sentenziosità, il Balbo - senza arrischiar talvolta tutto: e meglio vale arrischiarlo per unir l'italia settentrionale sotto il nostro re, che per non aver nulla». (C. Ricotti, Della vita e degli scritti del conte Cesare Balbo, Firenze, Felice Le Monnier, 1856, lib. V, cap. II, pag. 267. Cf. con V. Gioberti, Rinnovamento, ecc. vol. I, cap. I e XIII.